venerdì 10 luglio 2015

Mamma orsa il letargo è finito!

C'è una cosa che vorrei cambiare.. il mio approccio a ciò che è nuovo, diverso.. che si trova a due passi dalla mia zona di comfort.
Non parlo del "fare" ma principalmente del "pensare".
Mi spiego meglio...
Sono le dieci di sera e dopo una giornata di lavoro/corri a prendere le bimbe/prepara la cena per tutti/lava i piatti/gioca con le bimbe/metti a letto le bimbe/falle due coccole a tuo marito, recupero il cellulare dimenticato intenzionalmente nella borsa e leggo i messaggi ricevuti. Oltre a quelli di cazzeggio dei vari gruppi chat di whatsapp c'è un sms (esistono ancora gli sms?) e un paio di chiamate senza risposta. Strano, penso.
Leggo il messaggio: "Ciao, come va? sono C. mamma di L. Volevo chiederti se domani B. può venire a casa nostra per giocare con la piscina di L. Se per te va bene, ti invio il numero del mio documento così domani lasci la delega alla maestra e ritiro io i bambini da scuola. Un bacio"
WTF, penso. 
Per me è una cosa totalmente nuova. All'asilo nido questo "problema" non l'ho mai avuto perchè i bimbi sono talmente piccoli che a nessuno viene in mente di prendersi la briga di ritirare il figlio dell'altra per passare il pomeriggio a giocare insieme. 
Ovviamente parlo di mamme che hanno un rapporto piuttosto superficiale, che al massimo hanno passato qualche pomeriggio insieme al parco, con i bimbi, dopo la scuola. 
Ed è per questo che senza pensarci due volte rifiuto con una scusa vaga, e le scrivo che sarebbe meglio fare nel weekend, compatibilmente con i reciproci impegni e soprattutto sotto l'occhio vigile di mamma, papà, sorellina e tutta la famigghia calabro-molisana al seguito. 
Sono troppo protettiva? Forse, ma B. non ha neanche quattro anni e non me la sento di lasciarla andare sola a casa di una semplice conoscente, considerando che non so nemmeno dove abita.
Ma non è questo il punto. 
Dicevo. Mando il messaggio proponendo di slittare al weekend ma nella mia testa continua a ronzare lo stesso pensiero "speriamo che molli il colpo", "non ho nessuna voglia di andare a casa loro" e a nulla servono le mie preghiere, perchè ovviamente lei accetta e ci invita ufficialmente a passare con loro la domenica pomeriggio e di fermarci anche a cena. Mi cascano letteralmente le braccia. Perchè io sono così, sono prevenuta. Per me scatta automatica l'equazione "non fanno parte della mia cerchia" = "ci romperemo le palle". Chiamatemi mamma orsa.
Fortunatamente, nonostante io sbuffi, alzi gli occhi al cielo e faccia letteralmente i capricci, non mi tiro mai indietro. E non lo farò neanche questa volta. Non manderò un messaggio all'ultimo momento avvisando di non poter andare perchè la casa ha preso fuoco, o perchè i parenti dall'Argentina ci hanno fatto un'improvvisata. 
Ma sarebbe bello se imparassi ad accogliere le novità con uno spirito diverso, magari a braccia aperte e un bel sorriso stampato sulle labbra. E magari potrei arrivare, un giorno, a smettere di starmene seduta lì, nel mio confortevole angolo di "volevo.potevo.dovevo" aspettando che accada qualcosa. Quel qualcosa potrebbe accadere perchè sono io che ho alzato il culo e mi sono data l'opportunità di conoscere chi e cosa c'è là fuori.




martedì 30 giugno 2015

Un dinosauro e la generosità


La Bionda adora i giochi di ruolo, quelli in cui "tu sei la mucca e io faccio il cavallo", oppure "mamma mi disegni un pappagallo e un uccellino, poi li colori, li tagli e tu fai il pappagallo e io faccio l'uccellino?" ... sbaglio o questo si chiama sfruttamento materno?
Comunque, i protagonisti dell'ultima sessione di gioco erano i suoi amatissimi dinosauri. Giocando, mi ero ricordata che quella mattina l'avevo portata a scuola con il suo dinosauro rosso e che l'avevo riportata a casa a mani vuote.
Io non ero sicura di voler sapere, perchè chiedendoglielo avrei rischiato un'inarrestabile crisi isterica "buaaaaaaa voglio il dinosauro rossooooooo, voglio che andiamo a prenderlo a scuolaaaaaa, buaaaaaaaaa". Ma poi ho preso coraggio e ho posto la fatidica domanda: "Amore mio, ma il dinosauro rosso dov'è?" e lei ha pacatamente risposto che aveva regalato la bestia a S.
Apro una parentesi.. secondo me lei ha una cotta per S.
1. S. è proprio un bel bambino;
2. Una mattina, prima di entrare all'asilo, mi aveva affidato una rana gommosa dicendomi di portarla in ufficio, ma poi ha visto arrivare S. (che ama rettili, ragni e "solo cose belle") e ha voluto indietro il gommoso anfibio;
3. Lui non la tratta proprio come se fosse la sua regina, anzi le dà ordini a non finire e lei esegue senza battere ciglio e nonostante questo, nonostante lei abbia un caratterino tosto, "S. può toccare i miei giochi" oppure "S. può venire a casa mia".
4. Lei ha regalato a S. il suo intoccabile dinosauro.
Insomma, questo episodio mi ha dato da pensare perchè istintivamente stavo per dispiacermi. Stavo per risponderle "ma noo, perchè l'hai dato via?". Fortunatamente mi sono bloccata in tempo. Ho pensato che reagendo così le avrei insegnato che è sbagliato rinunciare alle proprie cose per donarle agli altri.
Non voglio che impari questo da me.
Voglio che diventi una persona di cuore. Generosa.
Voglio che non si tiri indietro quando si tratta di condividere qualunque cosa, da un pezzo di focaccia con la compagna di banco al suo maglione preferito con la sorella.
Voglio che non si risparmi se si tratta di abbracci, baci e manifestazioni di affetto perchè tenersi l'amore dentro fa più male a noi che agli altri.
Mi auguro che sia pronta a rinunciare a ciò che è frivolo e non dispensabile se serve a far star meglio qualcun altro, anche se si tratta di quel bellissimo caftano che ho visto su Asos e che starebbe così bene nel mio armadio... ehm… per la serie “do as I say, not as I do”.
Spero che sia più brava di me in questo. E se mi ha spinto a fare questa riflessione, probabilmente è già sulla buona strada.


giovedì 18 giugno 2015

I diritti di una mamma.


Ho scritto questo post un'ora fa. Il tono era sul lamentoso andante.
Riassumo in breve qual'era il mio sfogo: essendo mamma di due bambine piccole, Godzilla di tredici mesi e La Bionda di tre anni e mezzo, mi ritrovo a dover fare spesso i conti con le malattie infettive. Queste incidono negativamente sul mio umore, perchè mi devo sbattere pesantemente affinchè il mio lavoro non ne risenta e il mio capo non si faccia venire una crisi isterica.
Sono una lavoratrice dipendente, a tempo pieno, e si sa, la maggior parte dei datori di lavoro non vede di buon occhio le dipendenti in dolce attesa, le neo mamme e le mamme di bimbi che si ammalano.
Se, in queste situazioni, non riesco a trovare una baby sitter o Lui non vuole non può stare a casa, mi faccio prendere dall'ansia. Mi viene molto difficile pensare "al diavolo l'ufficio, le bimbe vengono prima" e non perchè io sia una cattiva mamma, ma perchè la pressione alla quale sono sottoposta in queste occasioni è tanta. Mi sono sentita dire dal mio capo che i continui malanni di stagione delle mie figlie stavano diventando un problema, e questo ha contribuito a peggiorare la situazione.
Ne è seguita una sequela di lamentele su quanto poco sono tutelate la maternità e la genitorialità nel nostro Paese.
Dopo aver salvato la bozza del post ho fatto una ricerca sul web per capire com'è la situazione nel resto del mondo e ho letto cose che non mi aspettavo.
Sono rimasta senza parole nel leggere che, ad esempio, in un Paese come gli Stati Uniti la maternità non è praticamente tutelata, non è prevista un'indennità da parte dello Stato e i datori di lavoro non sono nemmeno tenuti a concedere un congedo di maternità.
Ho letto che in Giappone una donna ha diritto a sei settimane prima e quattro dopo il parto, di congedo retribuito al 60%. Addirittura in Malesia, sono previsti soli 60 giorni di assenza pagata al 100%. In Polonia le mamme navigano nelle stesse acque italiane, in quanto godono di 20 settimane di assenza retribuita (a loro viene garantito però il 100% dello stipendio).
Insomma, la situazione non è poi tanto diversa, se non peggiore, nel resto del mondo, fatta eccezione per la Norvegia dove le donne lavoratrici godono di condizioni decisamente più favorevoli con 36 settimane di congedo retribuito al 100%. Non sarà un caso se, secondo l'annuale rapporto di Save the Children, la Norvegia è il Paese migliore per mamme e bambini.
Quindi, fatta eccezione per la penisola scandinava, la conciliazione lavoro-maternità risulta complicata per gran parte della popolazione mondiale.
Mal comune mezzo gaudio? Assolutamente no. Questo contribuisce a farmi pensare che è ancora radicata, a livello globale, l'idea della donna che ha come occupazione principale quella di allevare i figli e dedicarsi alla casa. Perchè diciamocelo, con tutele così povere, con l'accesso proibitivo ai servizi per l'infanzia, chi è disposto a farsi il sangue amaro ogni giorno in ufficio, sacrificando il tempo che potrebbe essere dedicato ai figli, per trovarsi con un pugno di mosche in mano?
Oppure quante persone sono incentivate a fare più di uno o due figli? Io, per esempio, sarei ben felice di avere un altro bambino, ma sono certa che non potrei più far la vita che faccio adesso. Non riuscirei a far convivere pacificamente il mio ruolo di mamma con quello di donna lavoratrice.
Volere è potere giusto, ma credo che la possibilità debba avere delle basi solide sulle quali appoggiarsi e un sistema che si evolva insieme alle persone che ne fanno parte.


domenica 14 giugno 2015

"Posso giocare con voi?"

Ieri pomeriggio ho portato la prima figlia (ah già! Non l'avevo scritto, sono mamma di due bambine) al compleanno di un amichetto della scuola materna.
Giuro di essere uscita di casa con le migliori intenzioni e cioè socializzare. Lo dimostra il fatto che per l'occasione ho indossato un bel sorriso e i miei nuovi pantaloni fiorati e colorati. Insomma, se indossi dei pantaloni così estrosi, agli altri devi sembrare una persona positiva e piacevole. Ma forse non basta..
Beh siamo arrivate alla festa con un lievissimo ritardo e la figlia non ha perso tempo, carica di entusiasmo è corsa ad abbracciare i compagni di scuola..
Mi rende felice vederla così piena di vita quando sta con i suoi simili, soprattutto se venti minuti prima non ha fatto altro che lagnarsi sul divano riempiendomi di calci perchè ho osato svegliarla dal riposino per portarla alla festa di cui ha parlato per una settimana intera.. eh mamma non si fa! Shame on you!
Dicevo, la piccola si è integrata immediatamente nel gruppo dei piccoli invitati e mi ha mollato come un salame in mezzo al piazzale della festa. Dopo aver salutato i genitori del festeggiato, mi sono accomodata in un angolo aspettando di vedere facce "amiche", cioè le altre mamme della scuola che non erano ancora arrivate. E nel frattempo, ho pensato a quanto sarebbe stato carino fare quattro chiacchiere condividendo le nostre disavventure mammesche.
Ecco, sarebbe stato carino farlo...
Loro sono arrivate, tutte insieme, in gruppo e così come sono entrate, in gruppo, si sono sedute al tavolo.
E niente, vederle così già affiatate, prese dalle loro conversazioni mi ha smontata immediatamente.. cosa avrei potuto dire per inserirmi? "ehm ciao ragazze, posso chiacchierare con voi?" certo che no, anche se tra bambini funziona "posso giocare con voi?" e tac, subito sembra che non abbiano fatto altro da una vita.
Lo so che avrei potuto semplicemente avvicinarmi a quella con cui ho socializzato di più durante l'anno e con la scusa inserirmi nella conversazione, ma l'idea di sentirmi al centro dell'attenzione ed essere sottoposta a radiografia non mi allettava particolarmente.
Adesso non pensate che io sia una povera sfigata che non è in grado di fare amicizia, ma non è facile entrare a far parte di un gruppo di donne persone che si conoscono da più tempo e che, oltretutto danno un po' l'impressione di fare muro. Insomma, anche lungo i corridoi della scuola difficilmente si sprecano in saluti, ed è inevitabile pensare che abbiano una leggera puzza sotto il naso. Probabilmente sono io che la faccio troppo complicata e che come al solito lavoro troppo di testa e troppo poco di spontaneità, magari sono io che ai loro occhi risulto snob; ma non c'è niente da fare, tra ragazze va così. Basta scambiarsi uno sguardo indagatore e subito ci siamo fatte un'idea di quanto è stronza tizia, di quanto è musona caia, ecc. Ma se non ci diamo neanche una possibilità.. Non ce la facciamo ad avvicinarci alle altre donne senza un minimo di pregiudizio. Poi siamo anche prontissime a ricrederci e ad essere adorabili, e in molti casi nascono amicizie sulle quali non avresti mai scommesso, ma quel sorriso che servirebbe a sbloccare la situazione lo custodiamo gelosamente e lo riserviamo solo quando siamo certe che dall'altra parte c'è qualcuno che ci piace.

Inutile dire che, nonostante i miei piccolissimi sforzi, non ho passato un pomeriggio particolarmente interessante. A parte qualche "ciaoooo, non ti avevo vista! come va?" "tutto bene, e tu?", ho passato il resto del tempo a osservare la figlia mentre si divertiva come una matta.
Nota positiva della giornata è stato il non doverla pregare per tornare a casa o dover procedere a rimozione forzata mentre si dimenava urlando, con la bava alla bocca, come se fosse posseduta dal demonio, perchè sì, è capitato e, ovviamente, in questi casi le altre mamme si accorgono che al mondo esisti anche tu.

Questo patetico post è sponsorizzato dal mio insulso weekend piovoso e privo di simpatici annedoti da raccontare. :)
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venerdì 12 giugno 2015

Perchè il blog?

Questo post vuole essere una premessa a quello che sarà di questo blog. 
Inizio col dire che non so che cosa ne verrà fuori perchè probabilmente pubblicherò questo post e poi sarò assalita da un'infinità di dubbi e mi farò una serie di inutili pippe mentali della serie chi sei tu per aprire un blog/al resto del mondo cosa importa di te e di quello che pensi/non sai scrivere neanche la lista della spesa. 
Poi cambierò nuovamente idea e penserò te ne devi fregare di quello che il mondo pensa/fai quello che ti pare e piace/il blog lo scrivi per te stessa e se qualcuno ha piacere di leggerlo ben venga/smettila di parlare in seconda persona perchè mi fai alquanto paura e mi pari un po' psicopatica.
Va bè, forse adesso si sarà capito il perchè del "volevo.potevo.dovevo". Io sono così, eternamente insicura, indecisa, intimorita, inconcludente e in quanto ad auto promozione sono talmente negata che se dovessi cercare un posto di lavoro come marketing director, non lo otterrei neanche se mi offrissi di farlo gratuitamente.
Il "woulda, coulda, shoulda" per dirla in inglese che fa tanto donna cosmopolita, è stato il filo conduttore (o il leitmotiv.. ok la smetto) di tutta la mia esistenza perciò non scriverò mai di quella volta in cui ho preso un aereo per mangiare un croissant sotto alla tour Eiffel, oppure di quando, in sella alla moto di un ragazzo ribelle ho bigiato la scuola e sono scappata per una romantica avventura.. tanto per chiarire il mio livello di noiosità, io non ho mai saltato la scuola all'insaputa della mia famiglia.
Perciò se volete evitare di addormentarvi sulla tastiera del pc, scappate finchè potete, abbandonate la nave, MAYDAY-MAYDAY!!!
Detto questo, questo blog, nasce soprattutto per me, perchè mi piace scrivere, perchè parlo poco ma penso troppo ed è il caso di buttare fuori qualche minchiata partorita dal mio cervello, così per fare un po' di spazio e chissà, magari, facendolo respirare un po', io potrei smettere di lavorare di fantasia e il volevo.potevo.dovevo potrebbe diventare faccio.cose.vedogente.